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Matematici e poeti

"I matematici non raggiungeranno Dio attraverso le loro leggi e i loro teoremi, così come i poeti non arriveranno all’Assoluto per mezzo delle loro opere, ma proprio la loro ricerca incessante rende grande il loro lavoro”.

(D.E Smith)

In un saggio di D.E.Smith, pubblicato a New York nel 1947 si legge: "La matematica è generalmente considerata proprio agli antipodi della poesia. Eppure la matematica e la poesia sono nella più stretta parentela, perché entrambe sono il frutto dell’immaginazione. La poesia è creazione, finzione e la matematica è stata definita da un suo ammiratore la più sublime e meravigliosa delle finzioni".

Secondo un punto di vista comune a molti, la matematica è una delle scienze più aride; per questo l’affermazione di Smith sembra un paradosso, quasi una provocazione irriverente verso la poesia e verso l’arte in generale; che cosa può avere a che fare, la "fredda" matematica, con l’impulso creatore che spinge l’artista a superare se stesso, in uno slancio lacerante verso l’Assoluto?

La maggior parte di noi conosce la matematica nei suoi aspetti più comuni; scoraggiata dalle difficoltà, non tenta di approfondirla e la osserva, da lontano, con quella diffidenza che ciascuno di noi prova verso ciò che non conosce.

Smith associa la matematica alla poesia; afferma che la poesia è "creazione"; l’artista osserva la realtà in cui vive e, attraverso l’immaginazione, la razionalità e il sentimento, la reinterpreta a suo modo, dando vita a qualcosa di nuovo. È possibile dimostrare che il compito della matematica è proprio questo?

Qual è lo spazio che la matematica concede alla libera interpretazione?

Secondo  Kant, le scienze come la geometria si basano su dei principi presenti a priori nel nostro intelletto ed è dunque possibile dedurre tutte le leggi che regolano l’universo a partire da un presunto "principio primo". Ma studi recenti inducono a pensare che le leggi della geometria e della fisica, sono tutt’altro che eterne ed immutabili.

La domanda che ci si pone a questo punto è la seguente: è la realtà fatta di matematica, per cui attraverso essa noi possiamo capirla, oppure le scienze non sono che un modello con cui noi cerchiamo di spiegare la natura delle cose? E la creatività, che ruolo ha all’interno della matematica?

Il matematico osserva la realtà, la interpreta e, servendosi dell’immaginazione, guidata da una rigorosa razionalità, crea forme nuove. Ma è corretto definire la matematica una forma d’arte?

Oscar Wilde diceva, molto semplicemente, che "l’artista è il creatore di cose belle"; possono non apparire stupende le leggi che cercano di capire i meccanismi che la nostra mente utilizza nell’analizzare la realtà, come quelle della matematica pura?

Oppure, possono sembrare sgradevoli le teorie che vogliono dare un senso globale all’universo, come quelle della fisica?

Il fisico Hawkins ha affermato che "comprendere pienamente le leggi dell’universo significherebbe capire in che modo ragiona Dio"; è lo stesso impulso verso l’assoluto che è alla base anche dell’attività dei poeti. Ma si tratta, come sostiene Smith, di finzioni: come ogni poeta interpreta la realtà a modo suo, così matematici e fisici danno vita a teorie che potrebbero venir confutate in ogni momento.

I matematici non raggiungeranno Dio attraverso le loro leggi e i loro teoremi, così come i poeti non arriveranno all’Assoluto per mezzo delle loro opere, ma proprio la loro ricerca incessante rende grande il loro lavoro. E il loro lavoro è davvero "meraviglioso" e "sublime"; chi comprende pienamente una teoria, un teorema o una legge ed è in grado di apprezzarla, forse a ragione può definirla un’opera d’arte.

A cura di

Giuseppe  Zito (ex  V G)

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